Sentenza del Tribunale federale 2C_73/2021 del 27 dicembre 2021

Domanda ragruppata; accordo amichevole

  • Traité par: Susanne Raas
  • Catégories d'articles: Arrêt de principe
  • Domaines juridiques: Assistance administrative internationale
  • Proposition de citation: Susanne Raas, Sentenza del Tribunale federale 2C_73/2021 del 27 dicembre 2021, ASA Online : Arrêt de principe
Sentenza del Tribunale federale del 27 dicembre 2021 nella causa A. e B. contro Amministrazione federale delle contribuzioni (2C_73/2021).

Inhalt

  • 1. Regeste
  • 2. Fatti (riassunto)
  • 3. Estratto delle motivazioni

1.

Regeste ^

Portata di un accordo amichevole in materia di assistenza amministrativa fiscale Intenationale (consid. 1.1.2 e 5): il modello di convenzione dell’OCSE prevede due tipi di accordi amichevoli: quelli conclusi in seguito a una procedura iniziata dal contribuente e quelli stipulati su iniziativa degli stessi Stati; l’accordo qui interessato appartiene a questa seconda categoria (consid. 5.3); un accordo amichevole non può rilevarsi più restrittivo della CDI ed escludere l’assistenza amministrativa in una situazione nella quale la trasmissione delle informazioni richieste è conforme alla CDI applicabile (consid. 5.4).
Una domanda ragruppata deve adempiere tre condizioni perché una cosidetta «fishing expedition» possa essere esclusa (consid. 4.2). Applicazione al caso concreto (consid. 4.3).

Bedeutung einer Verständigungsvereinbarung im Bereich der internationalen Steueramtshilfe (E. 1.1.2 und 5): Das Musterabkommen der OECD kennt zwei Arten von Verständigungsvereinbarungen: jene, die in Folge eines durch den Steuerpflichtigen angestossenen Verfahrens abgeschlossen werden, und jene, die auf Initiative der Staaten selbst erlassen werden; die hier interessierende Vereinbarung gehört zur zweiten Kategorie (E. 5.3); eine Verständigungsvereinbarung kann nicht restriktiver sein als das DBA und die Amtshilfe ausschliessen, wenn die Übermittlung der ersuchten Informationen nach dem anwendbaren DBA in dieser Situation möglich ist (E. 5.4).
Ein Gruppenersuchen muss drei Bedingungen erfüllen, damit eine sogenannte «fishing expedition» ausgeschlossen werden kann (E. 4.2). Anwendung auf den konkreten Fall (E. 4.3).

Signification dun accord amiable en matière dassistance administrative internationale fiscale (consid. 1.1.2 et 5) : le Modèle de Convention de lOCDE connaît deux types daccords amiables : ceux qui sont conclus à la suite dune procédure initiée par le contribuable et ceux qui sont émis à linitiative des Etats eux-mêmes ; laccord pertinent ici appartient à la deuxième catégorie (consid. 5.3) ; un accord amiable ne peut pas être plus restrictif que la CDI et exclure lassistance administrative si la transmission des renseignements demandés est possible dans cette situation en vertu de la CDI applicable (consid. 5.4).
Une demande groupée doit remplir trois conditions afin dexclure ce que lon appelle une « fishing expedition » (consid. 4.2). Application au cas concret (consid. 4.3).

2.

Fatti (riassunto) ^

Il 23 novembre 2018, l’Agenzia delle entrate – Ufficio cooperazione internazionale italiano, autorità fiscale competente in materia (di seguito: l’autorità richiedente o l’autorità italiana), ha presentato una domanda raggruppata di assistenza amministrativa in materia fiscale all’Amministrazione federale delle contribuzioni (di seguito: l’AFC o l’autorità richiesta).

In tale domanda, l’autorità richiedente ha anzitutto esposto che, nell’ambito di un programma di «collaborazione volontaria» («Voluntary Disclosure») lanciato con lo scopo di mettere in regola la situazione fiscale dei contribuenti italiani che vi partecipavano, circa 7’000 contribuenti italiani avevano chiesto di «regolarizzare le infedeltà ed omissioni dichiarative commesse in relazione alla detenzione di attività finanziarie (inclusi conti bancari) presso l’istituto di credito elvetico C.». L’autorità italiana ha inoltre affermato di essere in possesso di una copia di una lettera inviata dalla C. SA (cui è subentrata nel 2016 la D.; di seguito: la C./D. o la banca) ai propri clienti italiani il 3 febbraio 2014, nella quale la banca chiedeva a questi ultimi se fossero in regola («compliant») nei confronti del fisco italiano e li informava che, qualora non avessero fornito la prova di tale «compliance» fiscale, le loro relazioni finanziarie presso la banca sarebbero state sottoposte a restrizioni. Secondo l’autorità richiedente, alla luce di questi elementi, vi era un sospetto di evasione fiscale nei confronti di numerosi contribuenti italiani clienti della banca. L’autorità italiana riteneva, infatti, che «un considerevole numero di contribuenti italiani deten[eva] o [aveva] detenuto presso C. attività finanziarie in relazione alle quali:

  • non ha assolto agli obblighi previsti dall’ordinamento tributario italiano in materia di monitoraggio fiscale (obbligo di indicazione degli asset detenuti all’estero nel quadro RW della dichiarazione dei redditi),
  • non ha correttamente dichiarato, né ai fini delle imposte sul reddito delle persone fisiche, né ai fini dell’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero, i redditi ottenuti dal possesso di tali attività e conseguentemente,
  • non ha fornito alla banca sufficienti prove del suo adempimento degli obblighi fiscali previsti dalla normativa italiana».

Basandosi su quanto precede, l’autorità richiedente ha poi precisato che la propria richiesta riguardava «i contribuenti italiani [cosiddetti] ‹Recalcitranti›, cioè i contribuenti italiani i cui nomi sono sconosciuti e che sono identificabili attraverso i seguenti criteri nel periodo dal 23 febbraio 2015 al 31 dicembre 2016:

  1. è stato titolare di uno o più conti presso C., ora D. AG;
  2. il titolare del conto ha o ha avuto un indirizzo di domicilio o di residenza in Italia (sulla base della documentazione in possesso di C., ora D.);
  3. il titolare dell’attività finanziaria ha ricevuto una lettera di C., ora D., in cui è stata annunciata la chiusura forzata del conto/conti bancari salvo egli fornisca [alla banca] l’autorizzazione del modello ‹Direttiva Risparmio UE per la Collaborazione Volontaria (Voluntary Disclosure)› o ogni altra prova del rispetto delle proprie obbligazioni fiscali relativamente a tale conto/conti;
  4. nonostante tale lettera, il titolare del conto non ha fornito a C., ora D., prove sufficienti del rispetto degli obblighi fiscali».

L’autorità italiana ha dunque richiesto all’AFC alcune informazioni.

Dopo essere stata esortata dall’AFC ad identificare tutte le persone interessate dalla domanda di assistenza amministrativa italiana, il 16 aprile 2019 la banca ha comunicato all’AFC di nutrire dei dubbi in merito all’invio effettivo della lettera del 3 febbraio 2014 ai propri clienti domiciliati in Italia. Le ricerche interne della banca non avevano infatti permesso di trovare lo scritto in questione. Il 13 maggio 2019, la banca ha poi informato l’AFC di avere rinvenuto una lettera dal contenuto analogo a quella del 3 febbraio 2014, la quale recava tuttavia una data successiva e non era mai stata inviata ai clienti. L’istituto di credito ha parimenti indicato di aver ritrovato altre lettere simili a quella del 3 febbraio 2014, precisando che esse erano però state inviate dopo tale data.

Il 14 giugno 2019, l’autorità richiesta ha comunicato alla C./D. di non avere alcun motivo per dubitare dell’autenticità della lettera del 3 febbraio 2014, la quale, con tutta probabilità, era stata tuttavia inviata «nel 2015 o più tardi». L’AFC ha dunque domandato alla banca di procedere a una ricerca sistematica in tal senso.

Il 4 luglio 2019, la C./D. ha presentato all’AFC i risultati della propria ricerca, indicando in sintesi che una lettera quasi identica a quella del 3 febbraio 2014, recante però la data del 20 febbraio 2015, era stata inviata a oltre 10’000 clienti. In seguito, la banca ha trasmesso all’AFC le informazioni richieste.

Con decisione finale del 4 febbraio 2020, l’AFC ha accolto la domanda raggruppata di assistenza amministrativa in materia fiscale formulata dall’autorità richiedente il 23 novembre 2018 relativamente a A. e E., i quali nel periodo oggetto della domanda erano titolari di un conto cointestato presso la C./D.

Il 3 marzo 2020, gli interessati hanno interposto ricorso al Tribunale amministrativo federale, opponendosi all’esecuzione della domanda in questione. Con sentenza del 21 dicembre 2020, notificata l’11 gennaio 2021, il Tribunale amministrativo federale ha respinto il ricorso.

Il 21 gennaio 2021, A. e B. (quest’ultima «in qualità di unica erede» di E., nel frattempo defunto) hanno inoltrato dinanzi al Tribunale federale un ricorso in materia di diritto pubblico.

Il Tribunale federale respinge il ricorso nella misura della sua ammissibilità.

3.

Estratto delle motivazioni ^

1.1.1. Nella fattispecie, la domanda dell’autorità richiedente era fondata sull’art. 27 della Convenzione del 9 marzo 1976 tra la Confederazione Svizzera e la Repubblica Italiana per evitare le doppie imposizioni e per regolare talune altre questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio (RS 0.672.945.41; di seguito: la CDI CH-IT o la Convenzione), sulla lett. ebis del relativo Protocollo aggiuntivo (di seguito: il Protocollo aggiuntivo), nonché su un «accordo amministrativo» del 27 febbraio/2 marzo 2017, redatto in inglese (sebbene la Svizzera condivida una lingua ufficiale con l’Italia) e non pubblicato nella RS, intitolato «Agreement between the Competent Authorithies of the Swiss Confederation and Italy on exchange of information through group requests» (di seguito: l’accordo amichevole CH-IT). Per quanto qui di interesse, tale accordo definiva alcune condizioni alle quali la Confederazione Svizzera avrebbe concesso l’assistenza amministrativa in materia fiscale alla Repubblica italiana per le domande raggruppate formate da quest’ultima.

1.1.2. Il Tribunale amministrativo federale, dopo una lunga e approfondita disamina, ha stabilito che l’accordo amichevole CH-IT non poteva essere considerato come vincolante, ma che costituiva comunque uno strumento d’interpretazione (cfr. sentenza impugnata [A-1296/2020], pag. 27). I ricorrenti, che contestano tale approccio, sostengono segnatamente che la questione della portata dell’accordo amichevole CH-IT sarebbe di importanza fondamentale ai sensi dell’art. 84a LTF. A mente degli insorgenti, infatti, il Tribunale federale non si sarebbe mai espresso in merito a questa problematica, e una decisione a tal proposito avrebbe un’influenza sulle «relazioni internazionali svizzere con vari Stati esteri» […].

1.1.3. La portata di un accordo amichevole in materia di assistenza fiscale internazionale con le particolarità di quello in discussione e le sue conseguenze su una domanda di assistenza amministrativa non sono mai state esaminate approfonditamente dal Tribunale federale. Si è dunque in presenza di un’incertezza giuridica quanto alla portata di un accordo di questo tipo, la quale richiede un chiarimento da parte del Tribunale federale.

1.1.4. Dato quanto precede, occorre concludere che la presente fattispecie concerne una questione di diritto di importanza fondamentale ai sensi dell’art. 84a LTF. Pertanto, la via del ricorso in materia di diritto pubblico è aperta.

1.2. – 2. […]

3.

Come confermato ancora recentemente dal Tribunale federale (DTF 146 II 150 consid. 4.4), una domanda di assistenza amministrativa in materia fiscale che presenta le caratteristiche di quella qui in esame costituisce una domanda raggruppata («demande groupée»; «Gruppenersuchen»), in quanto con essa l’autorità richiedente domanda delle informazioni relative a un gruppo di persone non identificate nominalmente ma tramite un modello di comportamento identico (cfr. DTF 146 II 150 consid. 4.4 e 4.5 in fine). È quindi ora necessario determinare, conformemente alla giurisprudenza del Tribunale federale relativa alle domande raggruppate (cfr. DTF 143 II 136 consid. 5), se la domanda di assistenza amministrativa formata dall’autorità italiana poggia su una base legale sufficiente. In altre parole, è necessario verificare se una siffatta domanda raggruppata è ammissibile sotto l’angolo dell’art. 27 CDI CH-IT e della lett. ebis del Protocollo aggiuntivo.

3.1. – 3.1 […]

4.

I ricorrenti sostengono che la domanda di assistenza amministrativa presentata il 23 novembre 2018 dall’autorità richiedente sarebbe una chiara «fishing expedition», in relazione alla quale la condizione della rilevanza verosimile non sarebbe minimamente adempiuta. In particolare, a mente degli insorgenti, la richiesta non forniva sufficienti elementi fattuali atti a fondare il concreto sospetto che le persone appartenenti al gruppo non avevano rispettato i propri obblighi fiscali.

4.1. L’art. 27 cpv. 1 CDI CH-IT prevede, alla stregua dell’art. 26 cpv. 1 MC OCSE [Modello di convenzione OCSE sul reddito e la sostanza] sul quale è modellato, che le informazioni oggetto di una domanda di assistenza amministrativa in materia fiscale devono essere verosimilmente rilevanti; la lettera ebis cifra 3 del Protocollo aggiuntivo precisa tale nozione. La condizione della rilevanza verosimile («voraussichtliche Erheblichkeit»; «pertinence vraisemblable»), che è un principio cardinale dello scambio internazionale d’informazioni (cfr. sentenza 2C_387/2016 del 5 marzo 2018 consid. 5.1), ha come scopo quello di garantire uno scambio d’informazioni in ambito fiscale il più ampio possibile, senza tuttavia consentire agli Stati contraenti di intraprendere una ricerca generalizzata e indiscriminata d’informazioni o di domandare informazioni la cui rilevanza in merito agli affari fiscali di un determinato contribuente non è verosimile (lett. ebis cifra 3 del Protocollo aggiuntivo; cfr. DTF 146 II 150 consid. 6.1.1 e i riferimenti dottrinali ivi citati; 143 II 185 consid. 3.3.1; 142 II 161 consid. 2.1.1; sentenze 2C_703/2020 del 15 marzo 2021 consid. 4.2.1 e 2C_542/2018 del 10 marzo 2021 consid. 4.1.1). Secondo giurisprudenza, una domanda di assistenza amministrativa non adempie la condizione della rilevanza verosimile se è formulata in modo aleatorio, a dei fini di ricerca di prove e senza un legame concreto con una procedura fiscale in corso («fishing expedition»). Il Tribunale federale ha già esaminato la nozione di «fishing expeditions» in relazione all’interpretazione di svariate convenzioni di doppia imposizione (cfr. in particolare DTF 146 II 150 consid. 6.1.2 [Francia]; 143 II 628 consid. 5.2 [Norvegia]; 143 II 185 consid. 3.3.1 [Francia]; 143 II 136 consid. 6.1 [Paesi Bassi]; 141 II 436 consid. 4.4.3 [Paesi Bassi]; sentenza 2C_695/2017 del 29 ottobre 2018 consid. 5.2 [Germania]). Anche sotto l’egida della CDI CH-IT, agli Stati contraenti non è consentito dar seguito a delle «fishing expeditions» (lett. ebis cifra 3 del Protocollo aggiuntivo). Questi principi sono stati ripresi nell’art. 7 lett. a LAAF, secondo il quale «non si entra nel merito della domanda se [...] è stata presentata allo scopo di ricercare prove» (cfr. anche DTF 146 II 150 consid. 6.1.2). Va poi ancora precisato che, dal momento che le condizioni per ammettere l’esistenza di una «fishing expedition» sono severe, tale figura va ammessa solo in via eccezionale (DTF 143 II 136 consid. 6.1.2 in fine).

4.2. Secondo una giurisprudenza ormai consolidata, le domande di assistenza amministrativa che, come quella qui in esame, non identificano nominalmente le persone interessate, devono essere sottoposte a un esame più approfondito, allo scopo di escludere la sussistenza di una «fishing expedition» (cfr. DTF 146 II 150 consid. 6.1.3; 139 II 404 consid. 7.2.3). Il Tribunale federale ha così stabilito, riferendosi segnatamente al MC OCSE, che, nella propria domanda, l’autorità richiedente deve (cumulativamente):

  1. fornire una descrizione dettagliata del gruppo, esponendo i fatti e le circostanze specifiche che l’hanno spinta a formulare la domanda;
  2. illustrare il diritto (fiscale) applicabile e spiegare perché vi sono delle ragioni per supporre che i contribuenti appartenenti al gruppo non hanno rispettato i propri obblighi, e meglio hanno violato il diritto fiscale;
  3. dimostrare che le informazioni richieste sono atte a far sì che i contribuenti facenti parte del gruppo adempiano i propri obblighi fiscali (cfr. DTF 146 II 150 consid. 6.1.3; 143 II 136 consid. 6.1.2; si veda anche DTF 143 II 628 consid. 5.2; sentenza 2C_695/2017 del 29 ottobre 2018 consid. 5.2).

Per quanto attiene alla seconda di queste condizioni, il Tribunale federale ha precisato che l’autorità richiedente deve fornire degli elementi fattuali che lascino supporre che le persone appartenenti al gruppo hanno adottato un comportamento contrario al diritto (DTF 146 II 150 consid. 6.2.2; sentenza 2C_695/2017 del 29 ottobre 2018 consid. 5.2; si veda anche art. 3 cpv. 1 lett. g dell’ordinanza del 23 novembre 2016 sull’assistenza amministrativa internazionale in materia fiscale [OAAF; RS 651.11]). Devono sussistere elementi concreti in merito alla violazione degli obblighi fiscali; domande di assistenza amministrativa formate senza sospetti di sorta, a mero scopo d’imposizione, non sono ammissibili (DTF 146 II 150 consid. 6.2.2; 143 II 136 consid. 6.1.2; sentenza 2C_695/2017 del 29 ottobre 2018 consid. 5.2). Per contro, lo Stato richiedente non deve dimostrare, con una probabilità prossima alla certezza, che il comportamento del contribuente è contrario al diritto fiscale; dei sospetti concreti sono sufficienti (cfr. DTF 146 II 150 consid. 6.2.2). Per determinare se i sospetti esposti sono sufficienti in quest’ottica occorre fondarsi sull’insieme delle circostanze (DTF 146 II 150 consid. 6.2.2). Il Tribunale federale ha segnatamente ammesso l’esistenza di sospetti sufficienti in un caso nel quale una banca svizzera aveva inviato ai propri clienti una lettera informandoli che avrebbe posto fine alla relazione contrattuale qualora essi non le avessero fornito la prova della loro «compliance» fiscale nei confronti dello stato richiedente. Secondo il Tribunale federale, in un caso del genere, nei confronti dei clienti che non avevano ottemperato a questa richiesta, preferendo quindi porre fine alla relazione contrattuale, vi erano sospetti sufficienti di una violazione del diritto fiscale (DTF 143 II 136 consid. 6.3).

4.3. Nel caso di specie, contrariamente all’opinione dei ricorrenti, la domanda raggruppata formata dall’autorità italiana adempie le tre condizioni previste dalla giurisprudenza per escludere una «fishing expedition».

4.3.1. In primo luogo, l’autorità richiedente ha esposto di aver constatato che, nell’ambito di un programma lanciato allo scopo di mettere in regola la situazione fiscale dei contribuenti italiani che vi partecipavano, circa 7’000 persone avevano chiesto di poter regolarizzare le proprie attività finanziarie (inclusi conti bancari) non dichiarate presso la C./D. L’autorità italiana ha inoltre affermato di essere in possesso di una copia di una lettera inviata dalla C./D. ai propri clienti italiani, nella quale la banca chiedeva a questi ultimi se fossero in regola nei confronti del fisco italiano e li informava che, qualora non avessero fornito la prova di tale «compliance» fiscale, le loro relazioni finanziarie sarebbero state sottoposte a restrizioni. In tal modo, l’autorità richiedente ha illustrato chiaramente i fatti che l’hanno spinta a formulare la richiesta di assistenza amministrativa qui in esame.

L’autorità italiana ha poi descritto in modo dettagliato il gruppo oggetto della domanda, esponendo che essa riguardava i contribuenti italiani che, nel periodo dal 23 febbraio 2015 al 31 dicembre 2016, erano stati titolari di uno o più conti presso la C./D., avevano ricevuto la lettera menzionata poc’anzi e, ciò nonostante, non avevano fornito alla banca prove sufficienti del rispetto dei propri obblighi fiscali.

Ne consegue che la prima condizione per escludere una «fishing expedition» è realizzata.

4.3.2. La seconda condizione impone anzitutto all’autorità richiedente di illustrare il diritto (fiscale) applicabile. A tal proposito, va considerato che, sebbene la domanda dell’autorità italiana non esponesse con precisione il diritto fiscale applicabile (indicando per esempio le norme di diritto tributario italiano pertinenti per il caso di specie), essa indicava chiaramente che «i contribuenti italiani sono tenuti a dichiarare tutte le attività e i redditi detenuti all’estero, corrispondendo le relative imposte» ([…]). Una menzione di questo tipo era sufficiente a dimostrare che il diritto tributario italiano impone ai propri contribuenti di indicare nella dichiarazione fiscale la totalità dei redditi e della sostanza mondiali (per un caso analogo, cfr. DTF 143 II 628 consid. 5.4).

Per quanto riguarda poi gli elementi fattuali all’origine del sospetto che le persone appartenenti al gruppo non hanno rispettato i propri obblighi fiscali, il presente caso è del tutto comparabile alla situazione esaminata nella già citata DTF 143 II 136, dove il Tribunale federale ha ammesso l’esistenza di sospetti sufficienti di una violazione del diritto fiscale (DTF 143 II 136 consid. 6.3). Anche nel caso qui in esame, infatti, la banca ha inviato ai propri clienti italiani una lettera nella quale indicava che, qualora gli interessati non avessero fornito la prova di essere in regola con il fisco italiano, le loro relazioni finanziarie presso la banca sarebbero state sottoposte a restrizioni (cfr. sentenza impugnata, pag. 41 seg.). Come nella DTF 143 II 136, poi, la domanda raggruppata formata dall’autorità richiedente riguardava appunto i contribuenti che avevano ricevuto una lettera di questo tipo e non avevano fornito alla banca prove sufficienti del rispetto dei propri obblighi fiscali. Pertanto, la presenza di concreti sospetti in merito alla violazione dei propri obblighi fiscali da parte dei membri del gruppo oggetto della domanda deve essere ammessa anche nel caso di specie.

A tal proposito, giova ancora rilevare che, contrariamente a quanto preteso dagli interessati ([…]), poco importa che la domanda raggruppata menzionasse in un primo tempo una lettera del 3 febbraio 2014, il cui invio effettivo ai clienti della banca non ha potuto essere dimostrato (cfr. supra [fatti]). La descrizione del modello di comportamento contenuta nella domanda in parola prevedeva infatti, in modo generico, che «[...] il titolare dell’attività finanziaria ha ricevuto una lettera di C., ora D., in cui è stata annunciata la chiusura forzata del conto/conti bancari salvo egli fornisca [alla banca] l’autorizzazione del modello ‹Direttiva Risparmio UE per la Collaborazione Volontaria (Voluntary Disclosure)› o ogni altra prova del rispetto delle proprie obbligazioni fiscali relativamente a tale conto/conti» (cfr. supra [fatti]). In corso di procedura, è emerso che una lettera dal contenuto analogo è stata inviata dalla banca il 20 febbraio 2015 a oltre 10’000 clienti; le informazioni trasmesse dalla C./D. all’AFC si riferiscono a quest’ultima lettera (cfr. supra [fatti]). Il riferimento alla lettera del 3 febbraio 2014 non ha quindi alcuna conseguenza sull’ammissibilità della domanda raggruppata.

Per quanto precede, anche la seconda condizione relativa alla rilevanza verosimile è adempiuta.

4.3.3. Infine, non vi sono dubbi che le informazioni richieste, le quali permetterebbero all’autorità italiana di venire a conoscenza dell’identità dei contribuenti italiani che hanno detenuto – senza dichiararlo – un conto presso la C./D. nel periodo in esame, nonché del saldo presentato dal conto all’inizio e alla fine del suddetto periodo, sono atte a completare (ove necessario) la base imponibile dei contribuenti interessati. La terza condizione è quindi parimenti adempiuta.

4.4. Alla luce di quanto precede, il Tribunale amministrativo federale ha considerato a ragion veduta che la domanda di assistenza amministrativa presentata il 23 novembre 2018 dall’autorità richiedente aveva per oggetto delle informazioni verosimilmente rilevanti e non costituiva quindi una «fishing expedition» contraria all’art. 27 cpv. 1 CDI CH-IT, alla lett. ebis cifra 3 del Protocollo aggiuntivo e – per quanto applicabile ([…]) – all’art. 7 lett. a LAAF. Le censure sollevate in proposito dai ricorrenti non possono dunque che essere scartate.

5.

I ricorrenti sostengono che, in ogni caso, l’accordo amichevole CH-IT si oppone all’ammissione della domanda di assistenza amministrativa italiana. Secondo gli interessati, la domanda in parola non rispettava le condizioni in esso sancite, in particolare per quanto attiene al contenuto della lettera inviata dalla banca ai propri clienti.

5.1. L’accordo prevede segnatamente che le domande raggruppate formate dall’autorità richiedente devono riferirsi a contribuenti italiani «recalcitranti» («recalcitrant»; art. 1 dell’accordo), i quali sono definiti nel modo seguente:

«‹Recalcitrant account holders› are individuals who are taxpayers of Italy, whose names are unknown and that are identifiable through the following criteria during the time period between 23 February 2015 and 31 December 2016:
  1. the individual is or was an account holder of one or more accounts with a financial institution located in Switzerland;
  2. the account holder has or had a domicile or residence address in Italy (according to the bank documentation in possession of the financial institution located in Switzerland);
  3. the account holder was sent a letter by the financial institution located in Switzerland in which it announced the forced closure of the bank account or accounts unless he/she provided the financial institution located in Switzerland with the signed form ‹EU savings tax – Authorisation for the Voluntary Disclosure› or any other proof of his/her tax compliance for such account or accounts;
  4. despite this letter the account holder did not provide the financial institution located in Switzerland with sufficient evidence of tax compliance.»
(«I titolari di un conto recalcitranti sono contribuenti italiani i cui nomi sono sconosciuti e che sono identificabili tramite i seguenti criteri nel periodo dal 23 febbraio 2015 al 31 dicembre 2016:
  1. la persona è oppure è stata titolare di uno o più conti presso un istituto finanziario situato in Svizzera;
  2. il titolare del conto ha o ha avuto un domicilio o un indirizzo di residenza in Italia (secondo la documentazione bancaria in possesso dell’istituto finanziario situato in Svizzera);
  3. l’istituto finanziario situato in Svizzera ha inviato al titolare del conto una lettera nella quale annunciava la chiusura forzata del conto o dei conti bancari qualora lui/lei non avesse fornito all’istituto finanziario situato in Svizzera il formulario ‹UE tassa sul risparmio – autorizzazione per la collaborazione volontaria› o qualsiasi altra prova del rispetto dei propri obblighi fiscali relativamente al conto o ai conti in questione;
  4. nonostante tale lettera, il titolare del conto non ha fornito all’istituto finanziario situato in Svizzera prove sufficienti del rispetto dei propri obblighi fiscali»; art. 2 dell’accordo, traduzione libera).

5.2. Su questo punto, il Tribunale amministrativo federale ha ritenuto che, come sostenuto dagli insorgenti, la domanda raggruppata formata dall’autorità richiedente non sembrava a priori soddisfare le condizioni poste dall’accordo amichevole CH-IT, poiché la lettera inviata dalla banca ai propri clienti italiani non conteneva la minaccia esplicita di una chiusura forzata del conto in caso di mancata prova della «compliance» fiscale. Tuttavia, dal momento che tale accordo non era vincolante, questo fatto non toglieva nulla all’ammissibilità della domanda italiana.

5.3. Per quanto riguarda segnatamente i paesi membri dell’OCSE, in materia di diritto fiscale internazionale il principio degli accordi amichevoli («accords amiables»; «Verständigungsvereinbarungen») trae origine dall’art. 25 del Modello di convenzione OCSE sul reddito e la sostanza («Modèle de Convention fiscale OCDE concernant le revenu et la fortune»; di seguito: MC OCSE). Tale norma prevede due tipi di accordi amichevoli: quelli conclusi in seguito a una procedura iniziata dal contribuente, fondati cioè su disposizioni convenzionali che riprendono l’art. 25 cpv. 1 e 2 MC OCSE (di seguito: accordi amichevoli particolari), e quelli stipulati su iniziativa degli Stati stessi, ispirati quindi al modello proposto dall’art. 25 cpv. 3 MC OCSE (per la dottrina in lingua tedesca «Generelle Verständigungsvereinbarungen» o «Konsultationsvereinbarungen»; di seguito: accordi amichevoli di portata generale). L’accordo amichevole CH-IT appartiene a questa seconda categoria, sulla quale sarà quindi maggiormente posto l’accento nel presente giudizio.

Ai sensi dell’art. 25 cpv. 3 MC OCSE, le autorità competenti degli Stati contraenti si impegnano, mediante accordo amichevole, a risolvere le difficoltà o dissipare i dubbi che possono scaturire dall’interpretazione o dall’applicazione della Convenzione. Nell’ambito dei rapporti bilaterali tra Svizzera e Italia, la base legale per la stipulazione di un accordo amichevole è costituita dall’art. 26 cpv. 3 CDI CH-IT. Giusta tale norma, «le autorità competenti degli Stati contraenti faranno del loro meglio per risolvere per via di amichevole composizione le difficoltà o i dubbi inerenti all’interpretazione o all’applicazione della Convenzione [...]».

5.4. Nel caso di specie, va anzitutto rilevato che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale amministrativo federale, non è determinante stabilire se l’accordo amichevole CH-IT sia o meno «vincolante» (il Tribunale federale ha esaminato la portata di alcuni accordi amichevoli di portata generale sottoscritti dalla Svizzera nelle DTF 146 II 150 consid. 5.2.4; 143 II 628 consid. 4.1.2 e 4.2.2; 143 II 136 consid. 5.3 e nella sentenza 2C_387/2016 del 5 marzo 2018 consid. 2.2; sulla questione, largamente dibattuta in dottrina, cfr. in particolare Fleischer/Duss, in Zweifel/Beusch/Oesterhelt [ed.], Kommentar zum schweizerischen Steuerrecht – Amtshilfe, 2020, § 19 no 138 pag. 678 seg.; Drüen/Kofler/Simonek, Bindungswirkung von generellen Verständigungsverfahren aus deutscher, österreichischer und schweizerischer Sicht, in IFF Forum für Steuerrecht 2019/3 202, pag. 217; Matteotti/Krenger, Einleitung zum Internationalen Steuerrecht der Schweiz, in Zweifel/Beusch/Matteotti [ed.], Kommentar zum schweizerischen Steuerrecht – Internationales Steuerrecht, 2015, no 149 pag. 77; Bruno Gibert, in Danon/Gutmann/Oberson/Pistone, Modèle de Convention fiscale OCDE concernant le revenu et la fortune – Commentaire, 2014, n. 21 ad art. 25 pag. 781; Madeleine Simonek, Problemfelder aus dem Verhältnis von Doppelbesteuerungsabkommen und Verständigungsvereinbarungen zum innerstaatlichen Recht, in ASA 73/3 97, pag. 118., pag. 122 segg.; Walter Boss, Das Verständigungsverfahren nach den schweizerischen Doppelbesteuerungsabkommen, in ASA 52/11–12 593, pag. 603 seg.; Daniel Lüthi, Das Verständigungsverfahren nach den Doppelbesteuerungs-Abkommen der Schweiz, in L’Expert-comptable suisse 1981/5 10, pag. 14; Markus Reich, Das Verständigungsverfahren nach den internationalen Doppelbesteuerungsabkommen der Schweiz, 1976, pag. 131 segg.; Walter Studer, Über das Verständigungsverfahren in Doppelbesteuerungsabkommen, in Revue fiscale 26/1971 182, pag. 198 seg.). L’accordo in parola, infatti, non può comunque contraddire lo spirito e gli scopi della CDI CH-IT sulla quale esso è fondato (cfr. art. 25 cpv. 3 MC OCSE; art. 26 cpv. 3 CDI CH-IT) e dev’essere applicato sulla scorta di un’interpretazione conforme a quest’ultima. Esso non può dunque rivelarsi più restrittivo della CDI CH-IT ed escludere l’assistenza amministrativa in una situazione nella quale – come nel caso di specie (cfr. supra consid. 3 e 4) – la trasmissione delle informazioni richieste è conforme alla suddetta Convenzione. Un’interpretazione dell’accordo amichevole CH-IT effettuata alla luce della CDI CH-IT permette così di stabilire chiaramente che le condizioni previste nell’accordo non sono che un esempio – ispirato alle condizioni poste dal Tribunale federale nella DTF 143 II 136 per ammettere una domanda raggruppata – delle situazioni nelle quali la Confederazione Svizzera avrebbe concesso l’assistenza amministrativa in materia fiscale alla Repubblica italiana per le domande raggruppate da essa formate. Stipulando tale accordo, gli Stati contraenti intendevano semplicemente descrivere uno dei possibili scenari nei quali una siffatta domanda avrebbe dovuto essere accolta, senza però limitare questa possibilità allo scenario descritto nell’accordo. Del resto, l’accordo stesso non prevede in modo esplicito che l’assistenza amministrativa andrebbe negata a domande raggruppate rispettose della CDI CH-IT e del Protocollo aggiuntivo, ma formulate in contesti che non corrispondono esattamente a quanto previsto nell’accordo in discussione. Appare del tutto illogico che gli Stati contraenti, i quali, adottando la nuova lett. ebis del Protocollo aggiuntivo, hanno dichiarato di voler interpretare le esigenze di una domanda di assistenza amministrativa in modo da garantire uno scambio d’informazioni il più ampio possibile (lett. ebis cifra 3 del Protocollo aggiuntivo; cfr. anche Messaggio [del 12 agosto 2015 concernente l’approvazione di un Protocollo che modifica la Convenzione tra la Svizzera e l’Italia per evitare le doppie imposizioni {FF 2015 5631; di seguito: il Messaggio}], pag. 5636), abbiano voluto poi stipulare un accordo contenente delle condizioni vincolanti specifiche, non contemplate né nella CDI CH-IT, né nel Protocollo aggiuntivo.

Ne consegue che i ricorrenti non possono dedurre alcunché dall’accordo amichevole CH-IT per opporsi all’ammissione della domanda raggruppata italiana, la quale – come esposto in precedenza – è conforme alla CDI CH-IT e al relativo Protocollo aggiuntivo.

[…]